Ugo Spirito

Arezzo 1896 – Roma 1979

Vita e opere

Insoddisfatto degli studi giuridico-positivistici, a cui si era avviato seguendo soprattutto le lezioni di E. Ferri, Spirito si orienta verso la filosofia, dopo aver sentito, nel 1918, la prolusione romana di G. Gentile e si laurea, sotto la guida dello stesso, con una tesi sul pragmatismo. Segue Gentile nell’adesione al fascismo, e nel '23 osserva da vicino le vicende della riforma scolastica, assumendo la direzione dell’“Educazione nazionale”. Nel '24 ottiene la libera docenza in Filosofia alla Facoltà di Lettere dell’Università di Roma. Nel '25 si iscrive al PNF e firma il Manifesto degli intellettuali fascisti. Assume dunque le funzioni di redattore capo dell’Enciclopedia Italiana e dal '27 al '35 co-dirige la rivista “Nuovi studi di diritto, economia e politica”. Tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta diventa il più noto e discusso teorico del corporativismo fascista, che egli legge in chiave di “comunismo gerarchico”, suscitando forti polemiche presso gli ambienti industriali e alcuni vertici dello stesso regime mussoliniano. Insegna Economia e politica corporativa (poi Politica ed economia corporativa) all’Università di Pisa dal '31 al '35. Spostato prima a Messina (dove insegna pedagogia) e poi a Genova, in un insegnamento filosofico, dal '37 giunge infine alla docenza in filosofia teoretica alla facoltà di Magistero di Roma. Passato sostanzialmente indenne il periodo bellico e immediatamente postbellico, alla fine del '50 Spirito otterrà la cattedra di Filosofia teoretica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, sempre all’Università di Roma. Alla Sapienza egli insegnerà fino al pensionamento e sarà tra i principali filosofi di quell’ateneo, assieme a C. Antoni, G. Calogero e B. Nardi.

Dopo il 1918, l’altra data significativa dal punto di vista biografico-filosofico è il 1937, anno in cui pubblica La vita come ricerca, opera che segna il distacco di Spirito dall’attualismo gentiliano e l’inizio di una nuova personale posizione filosofica, denominata successivamente “problematicismo”. Tale diversa configurazione di pensiero si svilupperà in numerose opere, anzitutto in La vita come arte (1941), Il problematicismo (1948) e La vita come amore. Il tramonto della civiltà cristiana (1953). Proseguirà poi nel senso di un recupero post-positivistico dello scientismo, inteso prima come “onnicentrismo” e quindi come ipotetismo, culminando nelle autobiografiche Memorie di un incosciente (1977).

Nel secondo dopoguerra, fino alla morte nell’aprile del 1979, la posizione di Spirito si consolida sia come accademico sia come personaggio pubblico, molto noto anche all’estero, anche perché tradotto in numerose lingue straniere. Nel 1949 la prestigiosa rivista britannica “Life and Letters (and The London Mercury)” pubblica un numero speciale intitolato Italian Writers, dedicato interamente all’Italia e ai suoi artisti, scrittori, intellettuali. Tra essi pure Spirito, che offre una panoramica sul pensiero filosofico italiano contemporaneo, dando molto spazio all’importante ruolo svolto dall’idealismo ma afferma che, con l’avvento del fascismo, iniziò il declino di questa filosofia acuito anche dalla firma nel 1929 del Concordato fra Stato e Chiesa cattolica. Nel corso di tutti gli anni Sessanta sarà di particolare eco dentro e fuori l’accademia il dibattito-confronto con Calogero sui temi del dialogo e del rapporto tra filosofia e scienza (si veda almeno Ideale del dialogo o ideale della scienza?, Roma 1966, curato da Spirito e Calogero, assieme ai contributi di numerosi studiosi).

 

Il pensiero filosofico-religioso

Il rapporto filosofico di Spirito con la religione (cristiana e non solo) passa attraverso diverse fasi. Abbandonata l’originaria fede cattolica nella quale era cresciuto, abbraccia giovanissimo il positivismo con l’ardore di un credente. Studente universitario a Roma, Spirito si interroga sulla natura umana, sul “libero arbitrio” e il rapporto tra l’individuo e la collettività in cui vive. Compiuti gli studi in giurisprudenza, il positivismo non pare più sufficiente, e ai suoi occhi di ventenne il vero non coincide più con la natura immediatamente ed empiricamente sperimentabile. I nuovi interrogativi portano Spirito ad abbracciare gli studi filosofici. L’incontro con la filosofia si traduce nell’abbraccio con l’idealismo gentiliano, il cosiddetto attualismo, che delle scienze ha un interesse secondario. Il passaggio viene compiuto con una convinzione tale da diventare ben presto, sono parole dello stesso Spirito, «difensore ed apostolo» della fede appena scoperta.

Un tale passaggio fu favorito dal fatto che il primo maestro a giurisprudenza E. Ferri era stato allievo di R. Ardigò, ex prete cattolico, la cui filosofia “positiva” non negava l’assoluto, ma lo definiva un risultato dell’evoluzione piuttosto che un a priori. Per Ardigò, che preferisce parlare di “indistinto”, l’inconoscibile non è l’assoluto o l’incondizionato che è al di là della conoscenza umana e la sorregge, ma è piuttosto l’ignoto, vale a dire ciò che non è ancora diventato conoscenza distinta. La “totalità” è afferrabile per Ardigò, almeno in linea di principio. L’unico vero ostacolo non è costituito dalla ragione umana e dai suoi limiti, ma dalla natura mutevole, instancabilmente diveniente e, in ultima istanza, infinita del reale. Si tratta di un infinito che non apre alla trascendenza, ma è tutto nell’al di qua. È il fondo e la ragione del finito, sostiene Ardigò, necessario non solo per la natura ma anche per il pensiero.

Pertanto, il positivismo al quale si abbevera il giovane Spirito non è una ricerca analitica sui procedimenti delle scienze, ma denota quella pretesa diffusa tra i positivisti (Comte per primo) di affidare alla scienza la scoperta di ipotetiche strutture ultime e definitive della realtà. Risulta insomma evidente quella tentazione monistica la quale intende ricondurre la spiegazione di ogni fenomeno ad un unico principio o causa. Una simile tentazione accomuna l’idealismo ad un certo modo di intendere il positivismo, per il quale tale tentazione prende solitamente la forma di un materialismo naturalistico. Da un quaderno di appunti sul pragmatismo, probabilmente del periodo 1918-1920, si trovano annotate alcune pagine de La volontà di credere di W. James con queste parole: «critica dell’evoluzionismo di Spencer — L’evoluzionismo è metafisica, non scienza».

Il fondamento cercato da Spirito nel corso dell’intera sua vita presenta i caratteri dell’assoluto e coincide con l’onniscienza divina. Ne sono inequivocabile conferma le affermazioni fatte dal filosofo in un’intervista rilasciata al giornalista G. Grieco per il settimanale “Gente” (11 novembre 1978): «La mia filosofia alla quale ho dato il nome di problematicismo, è l’unica filosofia che aspira a rinnegarsi, ad annullarsi. Ma perché questo avvenga è necessario che io trovi Dio: quel Dio che inseguo dal 1937, quando pubblicai il libro La vita come ricerca. È da allora, infatti, che Dio mi manca, nel senso che non riesco a dargli un “volto” che possa soddisfarmi. [...] Che Dio esista è certo perché è il principio di tutto, l’assoluto. Il solo fatto di ricercarlo, del resto, è una prova della sua esistenza. Ma a me uomo, non basta avere questa certezza. Io ho bisogno di dare un “volto” a Dio, di sapere che cosa egli è realmente. Ecco perché lo inseguo, interrogando me stesso e il mondo. C’è una domanda che urge dentro di me e alla quale sento di dover dare una risposta: chi è Dio? Proprio l’urgenza di tale domanda mi ha spinto a girare Paesi e Continenti per cercare una risposta che mi appagasse».

Un Dio trascendente, come quello della tradizione ebraico-cristiana, creatore non creato di tutte le cose, non riesce ad essere creduto dal filosofo aretino e non soddisfa il suo anelito di adesione integrale dell’io (di ogni io) al tutto. Ma, al tempo stesso, la trascendenza in quanto inconoscibilità immediata e profondo “mistero” è ciò che, a suo avviso, connota davvero la dimensione divina. Dal secondo dopoguerra la trascendenza non è, come tale, negata, o lo è sempre meno, a patto però che l’ignoto non sia l’alibi per adagiarsi nel dogma e nel pregiudizio, paralizzando così la ricerca, ma sia, al contrario, la spinta ad agire secondo i ritmi di una ricerca tanto incessante quanto aderente alla realtà che non potrà che risultare trasformata da una simile immersione nel mondo. Sul finire degli anni Sessanta Spirito parla di una “teologia negativa” come quella che più si addice all’uomo di scienza e a chiunque voglia trovare nella realtà finita risposte alla propria percezione dell’infinito. Così si esprime Spirito in una conferenza tenuta nel settembre del 1968 a Venezia: «Il religioso di una religione positiva ha la rivelazione del mondo dell’al di là e la rivelazione gli dice che cosa possiamo aspettare, come possiamo salvarci, e quindi come dobbiamo agire in questo mondo. Quando sappiamo questo, sappiamo tutto. Rimarrà il mistero, ma sarà il mistero della cornice, sarà il mistero del singolo dogma, non è il mistero vero, quello di fronte a cui si trova lo scienziato che non sa nulla di Dio, dell’Assoluto. Il Dio si cela nel mistero, nell’ignoto ed egli guarda al di là con una trascendenza di carattere radicale. Lo scienziato è veramente religioso! E la sua teologia? È chiaro: la sua teologia è l’opposto della teologia delle religioni positive. Queste hanno una teologia che ha come contenuto la rivelazione, la religione dello scienziato ha una teologia che questo contenuto non ha, che a Dio non riesce a dare nessun attributo, di nessun genere; perciò una teologia negativa che è veramente la teologia della trascendenza. Questo vuol dire essere religiosi, non c’è anima più religiosa dello scienziato che sa sollevarsi alla ricerca pura e disinteressata».

L’impressione che si ricava da simili affermazioni è che la sensibilità religiosa di Ugo Spirito sia piuttosto un sentimento religioso, nel senso che ricorda quell’atteggiamento emotivo-spirituale che il Romanticismo tedesco aveva riassunto nel termine-concetto di Sehnsucht, intesa come anelito, desiderio, ricerca di qualcosa che resta indefinito nel futuro. Di fatto, la meta anelata è l’Assoluto; e a tenere costantemente accesa la sua ricerca è il compiacimento, anche a livello emozionale e di godimento estetico, di cui il sentimento si alimenta.

Con ciò Spirito può essere senza dubbio definito un “orfano dell’Assoluto”, un pensatore che ha tentato l’impresa faustiana di conciliare ragione umana e verità totale e definitiva, possibilmente senza dover approdare alla consueta conclusione che la ragione ha dei limiti che solo la fede può colmare. Solitamente, infatti, l’alternativa è tra coloro i quali accettano la persistenza dell’incertezza e coloro che, invece, si abbandonano al credo religioso. Spirito ha argomentato a favore di una terza possibile opzione, quella per la quale si resta nell’inquietudine, sospesi tra due negazioni. Una condizione filosofica ed esistenziale che però va oltre il puro negativo nel momento stesso in cui corteggia il nulla senza mai abbracciarlo.

Potrebbe altresì nascondersi una saggezza tragica nella scelta compiuta da Spirito in direzione di una ricerca infinita che presenta alcuni tratti analoghi alla Sehnsucht romantica. Si è soliti fare riferimento a concezioni orientali ogniqualvolta si tratti di render conto di certi accenti mistici della posizione post-attualista di Spirito, specie quando egli parla di onnicentrismo. L’onnicentrismo spiritiano troverebbe invece, giusta l’ascendenza romantica qui evidenziata, la sua possibile traduzione occidentale, riannodando i fili con una tradizione misterica e sapienziale precristiana che, paradosso dei paradossi, l’era della tecnica riporterebbe a galla e renderebbe nuovamente pensabile.

Allievi diretti di Spirito furono F. Valentini, C. Lacorte, I. Cubeddu, G. Baratta, Antimo Negri (anche se laureatosi a Napoli con A. Aliotta), ma nessuno di essi ha particolarmente sviluppato tematiche filosofico-religiose. Fu stimolato in tale direzione di studi soprattutto chi frequentò Spirito negli ultimi anni della sua vita, quando s’infittì il dialogo con teologi e filosofi cattolici come C. Fabro e P.Prini. Tra gli allievi indiretti che hanno affrontato il tema del rapporto tra problematicismo e religione vi è senz’altro H. A. Cavallera, filosofo e storico della pedagogia, allievo di V. A. Bellezza, a sua volta discepolo diretto di G. Gentile.

Danilo Breschi

 

Biblio-sitografia

 

Opere principali

  • Il pragmatismo nella filosofia contemporanea, Firenze 1921

  • Storia del diritto penale italiano. Da Cesare Beccaria ai giorni nostri, Milano 1925 (3ª ed. Firenze 1974)

  • I fondamenti dell’economia corporativa, Milano-Roma 1932 (2ª ed. ivi 1936)

  • Scienza e filosofia, Firenze 1933

  • La vita come ricerca, Firenze 1937 (2ª ed. Milano 2000)

  • Dall’economia liberale al corporativismo, Messina-Milano 1939

  • La vita come arte, Firenze 1941

  • Machiavelli e Guicciardini, Roma 1944 (4ª ed. accresciuta, Firenze 1970)

  • Il problematicismo, Firenze 1948

  • La vita come amore. Il tramonto della civiltà cristiana, Firenze 1953

  • Critica della democrazia, Firenze 1963

  • Critica dell’estetica, Firenze 1964

  • Nuovo Umanesimo, Roma 1964 (2ª ed. riveduta e ampliata ivi 1968)

  • Il comunismo, Firenze 1965 (3ª ed. ivi 1979)

  • Dal mito alla scienza, Firenze 1966

  • Giovanni Gentile, Firenze 1969

  • Tramonto o eclissi dei valori tradizionali? (con Del Noce A.), Milano 1971

  • L’avvenire dei giovani, Firenze 1972

  • Dall’attualismo al problematicismo, Firenze 1976

  • Memorie di un incosciente, Milano 1977

  • La fine del comunismo, Roma 1978

  • Ho trovato Dio, Roma 1989 (postumo)

 

Scritti sull'autore e il suo pensiero religioso

 

  • AA.VV., Il pensiero di Ugo Spirito, vol. I, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana 1988-89

  • Breschi D., Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione, Soveria Mannelli 2010

  • Cavallera H.A., Ugo Spirito. La ricerca dell’incontrovertibile, Formello (RM) 2000

  • Conti O., Ugo Spirito e il problema religioso, in “Scuola Cattolica”, 91, 1963, pp. 28-43

  • Corradi E., Il problema di Dio in Ugo Spirito: dall’attualismo allo scientismo, in “Filosofia e Vita”, 9, 1968, pp. 13-22

  • Del Noce A., Il ‘positivismo’ di Ugo Spirito e il «soggetto come male», in AA.VV., Il pensiero di Ugo Spirito, cit., pp. 21-28

  • Dessì G., Ugo Spirito. Filosofia e rivoluzione, Milano-Trento 1999

  • Fabro C., L’apertura al problema di Dio in Ugo Spirito (una testimonianza), in AA.VV., Il pensiero di Ugo Spirito, cit., pp. 21-27

  • Frongia G., Il Dio di Ugo Spirito, ivi, pp. 167-175

  • Negri A., Dal corporativismo comunista all’umanesimo scientifico, Manduria 1964

  • Russo A., Il problema di Dio in Ugo Spirito alla luce di un inedito, in Spirito U., Ho trovato Dio, Roma 1989, pp. 5-19

  • Severino E., Attualismo e problematicismo, in AA.VV., Il pensiero di Ugo Spirito, cit., pp. 29-39

  • Sideri R., L’esigenza di Dio in Ugo Spirito, in Murzi M., Pozzoni I. (a cura di), Fede e ragione, Villasanta (MB) 2016, pp. 67-794

  • Spiazzi R., La critica di Ugo Spirito al cristianesimo ne La vita come amore, in AA.VV., Il pensiero di Ugo Spirito, cit., pp. 193-201

  • Zamuner L., Il problema di Dio in Ugo Spirito. Implicanze psicologiche e gnoseologiche, Roma 1970

 

Pagine o siti web dedicati

www.fondazionespirito.it