Furio Jesi

Torino 1941-Genova 1980

Vita e opere

 
Furio Jesi fu uno spirito inafferrabile, un genio precocissimo che si dedicò senza risparmi a molteplici ambiti del sapere. Nato da famiglia di lunga tradizione ebraica (tra i suoi avi anche numerosi rabbini), ma di inossidabile laicità, Jesi rinuncia molto presto al curriculum studiorum della scuola e dell’università: a soli sedici anni scrive articoli di spessore sulla rivista archeologica internazionale “Aegyptus” e per un lustro si dedica alle scienze dell’antichità, seguendo un tracciato del tutto autodidatta. Non ancora ventenne, fonda l’“Archivio internazionale di etnografia e preistoria” e scrive una monografia densissima su La ceramica egizia. Nel frattempo viaggia molto lungo il Mediterraneo, in particolare in Grecia, dove compie studi di archeologia e antropologia culturale, soggiornando tra l’altro presso i monasteri delle Meteore. Trova un primo approdo professionale presso la UTET, inaugurando un febbrile lavoro editoriale di curatela e traduzioni che lo occuperà per tutta la vita. Intorno alla metà degli anni Sessanta incomincia un complesso e fondamentale rapporto con Károly Kerényi, che venera come un maestro ma con il quale non esiterà a entrare in conflitto per ragioni politiche nel fatidico 1968. Negli anni Sessanta Jesi milita nel sindacalismo comunista e in generale frequenta e anima numerose attività politiche della sinistra italiana. Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta traduce opere di Bachofen, Canetti, Dumézil, Castenda, Mann, Kraus e altri. Lavora per l’Enciclopedia Europea della Garzanti, compilando numerose voci. Si concentra sul rapporto tra mito, letteratura e cultura moderna. In un saggio fondamentale del 1972, dedicato al poemetto di Rimbaud Bateu ivre, introduce il concetto di “macchina mitologica”. Nel 1975 è chiamato professore ordinario di letteratura tedesca all’Università di Palermo, per meriti scientifici (non possiede nemmeno il diploma di scuola superiore). Tiene corsi su Rilke e sulla mitologia del vampirismo associata all’antisemitismo. Nel 1979 si trasferisce all’Università di Genova. Pubblica tra l’altro quella che probabilmente è la summa dei suoi studi: Materiali mitologici. Mito e antropologia nella cultura mitteleuropea, Einaudi, Torino 1980. Scrive anche poesie (L’esilio), un romanzo per ragazzi (La casa incantata) e un romanzo gotico (L’ultima notte). Soltanto una fuga di gas, nella notte del 17 giugno 1981, riesce a interrompere, a 39 anni, la sua instancabile e straordinaria attività.
 

Il pensiero filosofico-religioso

 
Della vasta opera di Furio Jesi – che pur non riuscendo a doppiare i quarant’anni, ha avuto pur sempre un esordio precocissimo e un’intensità impareggiabile –, due per lo meno sono i filoni che si possono ascrivere alla tematica filosofica-religiosa. Il primo è il modello, o meglio – con terminologia foucaultiana – il dispositivo “macchina mitologica”; il secondo è il rapporto tra religione e morte.
Per “macchina mitologica” si intende un meccanismo che produce materiali “storicamente verificabili”, cioè potremmo dire un motore di storie, con una caratteristica peculiare: quella di dichiarare “di celare nel suo interno una camera segreta, dalle pareti impenetrabili, in cui ospiterebbe il mito, suo centro motore invisibile, non verificabile della storia”. In estrema sintesi: la cultura umana è mossa da una pulsione narrativa e creativa continua, che nel momento in cui si esprime rivela e rivendica la propria autenticità, ma che, proprio perché la rivela e la rivendica, contemporaneamente e sotto il medesimo rispetto la nasconde e la maschera. Si tratta in fondo del paradosso dell’origine: ogni racconto è un racconto di origine, ma l’origine del racconto non può essere raccontata… “Il mito”, osserva Jesi nella voce omonima dell’Enciclopedia Europea da lui curata, “consiste nel dare un volto agli dèi e al tempo stesso nel riconoscere e sperimentare nitidamente l’inaccessibilità degli dèi: il mito conferisce agli dèi plasticità e sembianze, ma poiché lo fa modellando simboli che non rinviano a nulla se non a se stessi, sottolinea la separazione tra il livello degli dèi e quello degli uomini”. Ora, questa stessa separazione, per Jesi, non significa affatto una fuoriuscita da una minorità spirituale fatta di superstizione, un Illuminismo definitivamente secolarizzato; al contrario essa rappresenta la figura della religione come rimando a una realtà trascendente e inattaccabile: “Nell’ambito di una religione, quanto più il mito perde credibilità di precedente e di giustificazione sacrale delle azioni umane, tanto più tende ad acquistare valore di effigie delle divinità inaccessibili” (ivi). Ecco dunque la funzione positiva del mito: “Una macchina che serve a molte cose” (Esoterismo e linguaggio mitologico, Quodlibet, Macerata 2002, p. 23). Una macchina che serve a ricordare, innanzitutto, a fissare nella memoria un elemento di unicità, di origine; ma che serve anche e forse soprattutto a soggiogare il tempo in funzione della conformità a quell’origine, da cui discostarsi significa colpa, peccato, abominio: “Nella Montagna incantata Thomas Mann mostra il fanciullo Hans dinanzi al nonno che, traendo dall’armadio l’antica tazza battesimale, evoca il suono delle generazioni trascorse. Quel suono cupo dell’Ur, che in tedesco echeggia l’origine e il passato, si è troppo spesso trasformato in mistificazione d’infanzia e innocenza perché sia possibile sfuggire al sospetto che, quando qualcuno decide di farlo echeggiare per un preciso interesse, esso non significhi altro che potere e morte, la morte di cui si serve il potere” (ivi, p. 24).
Con quest’ultima precisazione si giunge immediatamente alla seconda branca filosofico-religiosa di Furio Jesi, ossia il tema della religione della morte. A questa formula Jesi si è dedicato in modo cospicuo e fin dai primi scritti sulla cultura tedesca (Germania segreta, Silva, Genova 1967), ma ancor prima nel riflettere sulle ossessioni di autori come Pavese, Mann, Rilke, Nietzsche… A questa formula, in seguito, Jesi diede un nome e una connotazione precise: cultura di destra. “Non si può dedicare un certo numero di anni allo studio dei miti o dei materiali mitologici senza imbattersi più volte nella cultura di destra e provare la necessità di fare i conti con essa” (Cultura di destra, Garzanti, Milano 1993, p. 5). Sul finire degli anni Settanta, nel cuore dell’Italia martoriata da un decennio di terrore, Jesi opera un tentativo di decifrazione del mito come espressione di una violenza politica consapevole, che strumentalizza e manipola i materiali originali della cultura umana per farne occasione di autoesaltazione o di annichilimento delle coscienze. La religione della morte è una figura contemporanea del mito tecnicizzato, per usare un’espressione di Kerényi, per cui l’umanesimo borghese (oggi potremmo dire il pensiero occidentale) cessa di leggere il passato e lo trasforma in “strumento di legittimazione per chi vi fa riferimento riconoscendo in modo arbitrario le proprie radici” (Manera in Riga 31, p. 332).
In tal senso si configura anche la militanza politica e culturale di Furio Jesi: lo scandaglio incessante della macchina mitologica coincide per lui con l’emancipazione dall’evocazione esoterica della sua potenza. Ciò non significa, beninteso, abbandonarsi a una sorta di cinismo iper-razionalista, scientista, a un’astratta reductio, che sarebbe tanto violenta e intollerante, quanto lo sono state e lo sono ancor oggi le mitologie fanatiche del nazifascismo e del jihadismo; significa invece che il lavoro intellettuale va praticato ed espresso nella scrittura e nell’insegnamento come instancabile realizzazione della praticabilità della tradizione. La tradizione, cioè l’origine, il nucleo inaccessibile del mito, non va assunta a fucina di trascendenza, ma anzi va diffusa nella pratica della critica razionale. Questo significa, per Jesi, che, per esempio, è “inutile, inopportuno e vacuo studiare un testo poetico senza adoperarlo” (Esoterismo e linguaggio mitologico, cit., p. 37). E adoperare un testo poetico, o interpretare il passato, o decifrare un indizio archeologico, significa abbattere gli idoli muti, aprire le piazze al dialogo.
 
Martino Doni
 

 

Biblio-sitografia

 

Opere principali

  • Notes sur l’édit dionisyaqye de Ptolémée IV Philopator, in “Journal of Near Eastern Studies”, 4, 1956, pp. 236-240.
  • Elementi africani nella civiltà di Nagada, in “Aegyptus”, 37, 1957.
  • La ceramica egizia dalle origini al termine dell’età tinta, S.A.I.E., Torino 1958; nuova ed., a cura di G. Schiavoni, Aragno, Torino 2010.
  • Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del Novecento, Silva, Milano 1967; nuova ed., con postfazione di D. Bidussa, Feltrinelli, Milano 1995.
  • Letteratura e mito, Einaudi, Torino 1968; nuova ed., con un saggio di A. Cavalletti, Einaudi, Torino 2008.
  • L’esilio. Poesie, Silva, Roma 1970.
  • Thomas Mann, La Nuova Italia, Firenze 1972.
  • ren Kierkegaard, Esperienze, Fossano 1972; nuova ed., a cura e con un saggio di A. Cavalletti, Bollati Boringhieri 2001.
  • Che cosa ha veramente detto Rousseau, Ubaldini, Roma 1972.
  • Mitologie intorno all’Illuminismo, Edizioni di Comunità, Milano 1972; nuova ed. (priva dell’introduzione) Lubrina, Bergamo 1990.
  • Lettura del Bateu Ivre di Rimbaud, in “Comunità”, 168, 1972, pp. 358-373; nuova ed., a cura di A. Cavalletti, introduzione di G. Agamben, Quodlibet, Macerata 1996.
  • Brecht, La Nuova Italia, Firenze 1973.
  • L’accusa del sangue: il processo agli ebrei di Damasco; metamorfosi del vampiro in Germania, in “Comunità”, 170, 1973, pp. 260-302; nuova ed., a cura di D. Bidussa, Morcelliana, Brescia 1993; nuova ed., L’accusa del sangue: la macchina mitologica antisemita, introduzione di D. Bidussa, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
  • Il mito, ISEDI, Milano 1973; nuova ed. Mondadori, Milano 1980; nuova ed., a cura e con una nota di G. Schiavoni, Aragno, Savigliano 2008.
  • Che cosa ha veramente detto Pascal, Ubaldini, Roma 1974.
  • Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Reiner Maria Rilke, D’Anna, Messina 1976; nuova ed., a cura e con un saggio di A. Cavalletti, Quodlibet, Macerata 2002.
  • La festa. Antropologia, etnologia, folklore, Rosenberg & Sellier, Torino 1978; parzialmente ripreso in una nuova ed.., a cura di A. Cavalletti, Il tempo della festa, Nottetempo, Roma 2013.
  • Il linguaggio delle pietre. Alla scoperta dell’Italia megalitica, Rizzoli, Milano 1978.
  • Cultura di destra, Garzanti, Milano 1979; nuova ed., a cura di A. Cavalletti, Nottetempo, Roma 2011.
  • Materiali mitologici. Mito e antropologia nella cultura mitteleuropea, Einaudi, Torino 1979.
  • Spartakus. Simbologia della rivolta, a cura di A. Cavalletti, Bollati Boringhieri, Torino 2000.
  • Bachofen, a cura di A. Cavalletti, Bollati Boringhieri, Torino 2005.

Scritti sull'autore e il suo pensiero filosofico-religioso

  • Agamben G., Cavalletti A., Furio Jesi, Donzelli, Roma 1999 (numero 12 della rivista “Cultura tedesca”).
  • Belpoliti M., Manera E., Furio Jesi, Marcos y Marcos, Milano 2010 (numero 31 della rivista “Riga”)
  • Bidussa, D., Mito e storia in Furio Jesi, Morcelliana, Brescia 1995
  • Manera E., Furio Jesi. Mito, violenza, memoria, Carocci, Roma 2012
  • Masini F., Schiavoni G., Risalire il Nilo. Mito, fiaba, allegoria, Sellerio, Palermo 1983