Ferdinando Tartaglia

Parma 1916 – Firenze 1987

Vita e opere

 

Di famiglia benestante, Ferdinando Tartaglia rivela fin da bambino un’indole geniale e indocile. Laureatosi in teologia presso l’Università Gregoriana di Roma con una tesi sulla spiritualità rosminiana, è ordinato sacerdote nel 1939; negli anni della Seconda guerra mondiale si cimenta in un primo tentativo di vita comunitaria con altri religiosi, ma si scontra con la gerarchia ecclesiastica, prodromo di quella che sarà una sorta di accanimento interminabile e spietato. Nel 1943 l’incontro con Aldo Capitini si rivela decisivo: collabora ai Centri di Orientamento Sociale, saggiando le idee capitiniane di inclusione radicale e di nonviolenza. Tali esperienze rafforzano la distanza tra Tartaglia e il Sant’Uffizio, che nel 1946 lo colpisce con la scomunica a vita; principale capo d’accusa: l’elogio pubblico della memoria di Ernesto Buonaiuti. La scomunica, lungi dall’isolare Tartaglia, lo consegna invece agli onori delle cronache: diventa un riferimento per gli spiriti inquieti dell’Italia postbellica e, suo malgrado, una guida. L’anno successivo, con Capitini, fonda il Movimento di religione, mentre in seguito, approfittando di una eredità che gli garantisce un vitalizio più che dignitoso, si ritira in una sorta di eremitaggio, dal quale ogni tanto emergeva grazie alle attività del “Centro per la realtà nuova”, da lui fondato nel 1950. Poco prima della morte ottenne lo scioglimento della sentenza di scomunica. In vita pubblicò pochissimo, mentre la mole dei suoi scritti inediti è sterminata. Una parte di questi è ora in corso pubblicazione presso l’editore Adelphi. Il nucleo del pensiero di Tartaglia è fornito da un testo chiave del 1949: le Tesi sulla fine del problema di Dio, in cui – con un linguaggio volutamente scarno e una sintassi glaciale – egli cerca di superare in maniera definitiva i cascami delle dottrine religiose (e antireligiose, è lo stesso) stratificatesi fin dalle origini, cercando e in qualche modo istituendo quella dimensione estrema che egli definisce il “puro dopo”. Tartaglia fu anche poeta – autore di circa settemila poesie –, traduttore (per Guanda tradusse Gabriel Marce, Malebranche, Newman e Pascal) e finissimo erudito: stilò infatti delle bibliografie immense, tra cui una molto preziosa sugli autori che non compresero la natura di Cristo (Christus comicus o meglio christus inferiore).

 

Il pensiero filosofico-religioso

 

L’opera di Ferdinando Tartaglia non si può sintetizzare, per due ragioni: in primis, perché occorrerebbe leggerla tutta, e ciò è pressoché impossibile, visto che consta di qualcosa come cinquantamila pagine e più, quasi tutte inedite; inoltre, essa, per quel che si può intuire dai lacerti che emergono dagli archivi privati, è tutto sommato un esercizio ossessivo di autosuperamento, un rovello assoluto, ininterrotto, sublime e allo stesso tempo insopportabile. Da qui, il tono mortalmente noioso che hanno alcune pagine di Tartaglia, e insieme: di eterno, di definitivo, di granitico. Il gesto immediatamente riconoscibile in Tartaglia è quello della rottura: egli si pone come apripista di un evento, il “puro dopo”, che rende tutto ciò che lo precede inutile e anzi irreale. La realtà del “puro dopo” è anticipata, più che annunciata, dall’esercizio della meditazione e dalla disciplina della logica: i pensieri di Tartaglia seguono un andamento continuo, simile per certi versi ai paragrafi del Tractatus di Wittgenstein, pur esponendo un afflato polemico estraneo al filosofo viennese: obiettivo primario di Tartaglia è infatti innanzitutto la liquidazione totale di ogni pensiero, istituzione, credenza, convinzione e rito precedente il “puro dopo”. Testo programmatico di questa impresa impossibile sono le Tesi sulla fine del problema di Dio: «Finora il problema di Dio, come del resto ogni altro problema, è stato affrontato mediante operazioni e strumenti strutturati intrinsecamente secondo un rapporto o di un “prima” o di “presenza” a tale problema e ai suoi contenuti effettivi o presunti; ossia, il problema di Dio era preso sempre o dal “prima” di sé, o dalla coincidenza di è a sé o all’altro da sé, vale a dire dalla “presenza” di sé. Noi dobbiamo invece affrontare ormai il problema di Dio da un luogo radicalmente avverso e superiore, cioè non più dal “prima” o dalla “presenza” ma dal puro “dopo”; ossia, dobbiamo costruire operazioni e strumenti intrinsecamente strutturati secondo un rapporto di puro “dopo” al problema di Dio e ai suoi contenuti reali o irreali» (Tesi sulla fine del problema di Dio, Adelphi, Milano 2002, pp. 12-13).

La peculiarità della posizione di Tartaglia si può descrivere attraverso uno schema classico dell’argomentazione teologica, a sua volta assunto da una nota retorica scritturale, per la quale si espone un argomento, lo si riconosce come superato e lo si scarta in quanto tale, per poi aprire a un’altra dimensione, per la quale però manca un linguaggio adeguato, dato che il linguaggio stesso è istituzione sorta al servizio del vecchio argomento. Simile in ciò alla formula evangelica “Vi è stato detto… ma io vi dico…”, l’anticipazione del puro “dopo” da parte di Tartaglia è principalmente un annullamento del dibattito, più ancora che una sua risoluzione: egli infatti prende in considerazione molteplici coppie antitetiche come teismo e ateismo, immanenza e trascendenza, materialismo e idealismo, agnosticismo e dogmatismo ecc. e le dichiara, senza eccezione, “puramente erronee”: «Noi dichiariamo oggi la erroneità pura di tutte le non risposte e di tutte le risposte provvedute o tentate provvedere finora al problema di Dio: fossero risposte secondo ragione o secondo fede o secondo esperienza. Erroneità pura significa anche pura irrisoluzione» (ivi, p. 17). Tale mancanza di soluzione riguarda la figura stessa di Cristo («è inutile adulare Cristo per quello che Cristo non ha fatto», ibidem). Potentissimo e inesorabile nella pars destruens, Tartaglia non è certo ingenuo e utopista al punto dal delineare un’idea chiara e distinta del “puro dopo”, tanto più che esso, come il Sein barrato di Heidegger, qualora fosse espresso con le categorie passate, si ridurrebbe a simulacro dell’errore puro. E però il “dopo” deve assumere una forma, sia pure per cenni, sia pure attraverso lo stillicidio logico dell’intelligenza e dell’abnegazione: tali cenni riguardano in effetti a una «“riforma religiosa” secondo dissolvimenti e ampiezze mai prima d’ora sospettati. Da un lato, i teismi le religioni le chiese del Dio vecchio, inesistente, assoluto male e, sempre su quel lato di febbre, gli ateismi le irreligioni le antichiese del non Dio vecchio, irreale, perdutissimo errore; invece dall’altro lato, non di febbre ma di clamore valido, Dio nuovo, Dio esistente, Dio liberissimo bene e, attraverso Dio nuovo, mutamento di Dio e non Dio sino a novità pura. Fra Dio vecchio e Dio nuovo è ormai necessario scegliere ed è di questa scelta che “riforma religiosa” mangia e cresce» (ivi, pp. 91-92).

A scomodare il termine “profezia” per quanto riguarda la descrizione del “puro dopo” effettuata da Tartaglia, è intervenuto Sergio Quinzio, in Ferdinando Tartaglia e la profezia del “puro dopo”, posto in calce alle Tesi adelphiane (pp. 93-154). Di fatto, la scomodità dell’afflato profetico di Tartaglia si è rilevata un giogo eccessivamente oneroso per essere sostenuto da qualcosa che possa identificarsi come una tradizione o anche soltanto un cenacolo di seguaci. L’eredità di Tartaglia non si evince in linee nette nel pensiero filosofico e religioso, ma la si può scorgere quasi suo malgrado nell’agonia di concetti, istituti e idealità che fino a ieri avevano sostenuto, fondato e guidato l’intero sistema metafisico, sociale, tecnico e morale dell’Occidente: dopo la fine della filosofia, della storia, del cristianesimo ecc., ecco ora la volta della realtà e della verità. «Tartaglia», scrive Quinzio, «ha preso sul serio il Regno e il fatto immensamente assurdo e doloroso che non è venuto» (ivi, p. 149).

 

Martino Doni

 


 

Bibilio-sitografia

 

Opere principali

  • Chiarimenti al Movimento di Religione, in “Fondazioni”, 2(1948)

  • Progetto di religione, Guanda, Modena 1951.

  • Tesi per la fine del problema di Dio, Adelphi, Milano 2002.

  • Esercizi di verbo, a cura di A. Marchetti, Adelphi, Milano 2004.

  • La religione del cuore, Adelphi, Milano 2008.

  • Poesie inedite, a cura di A. Marchetti, Guerri, Cesena 2009.

 

Scritti sull'autore e il suo pensiero religioso

  • Cattaneo G., L’uomo della novità, Garzanti, Milano 1968; nuova ed. Adelphi, Milano 2002.

  • Battistuta F., Trittico eretico: sentieri interrotti del Novecento religioso. Ernesto Buonaiuti, Primo Vannutelli, Ferdinando Tartaglia, Millennia, Novara 2005.

  • Saviano R., Fenomenologia di un’eresia anarchica, in “Pulp” 53 (2005), cfr. www.nazioneindiana.com/2005/04/10/ferdinando-tartaglia/.

  • Beverini Del Santo, M.G., Marchi M. (eds.), Tra poesia e pensiero. L’eretico Ferdinando Tartaglia. Atti del convegno. Firenze, 29 ottobre 2009, Polistampa, Firenze 2011.