Felice Momigliano

Mondovì 1866- Roma 1924

 

Vita e opere

Felice Momigliano, dopo aver frequentato il Liceo nella sua città di nascita, compie gli studi universitari a Torino. Si iscrive alla Facoltà di Lettere nel 1895. All’avvio del terzo anno accademico viene incoraggiato a tentare la via della Scuola Normale di Pisa. La prova di ammissione viene superata il 3 novembre 1897 con giudizio positivo della stessa commissione (D’Ancona, Piccolomini, Crivellucci, Tartara e Jaia) che pochi mesi dopo approverà la candidatura di Giovanni Gentile. A Pisa rimane un solo anno. Un incontro prevale su tutti, quello con l’orientalista Salvatore De Benedetti, titolare della prima cattedra di ebraico nell’Italia unita, chiamato a Pisa da Francesco de Sanctis. Traduttore dall’ebraico, “dottissimo orientalista” incoraggia Momigliano a proseguire gli studi sul pensiero filosofico e religioso e gli fa conoscere l’opera di Renan. Si ignorano le motivazioni che indussero Felice M. a rientrare a Torino e a concludere qui i suoi studi universitari. Il 26 novembre 1889 ottiene la laurea in Lettere, due anni dopo, il 9 luglio 1891 quella in Filosofia. Non pago si iscrive, sull’esempio di un suo amico di giovinezza, Zino Zini, anche al corso di Giurisprudenza. I grandi sconvoglimenti di fine secolo lo porteranno fuori dal Piemonte. I suoi primi studi pubblicati riguardano l’estetica pre-aristotelica, in un saggio uscito sul “Pensiero italiano” e dedicato al maestro Pasquale D’Ercole.

L’inizio della carriera di insegnante fu assai tortuoso. Reggente al ginnasio di Savigliano nel 1892, poi a Benevento, infine per un breve periodo nella sua Mondovì, dove lo travolse la tempesta socialista. Figura fra i cinque processati (“ardimentosi settari”) nel 1894: condannato a un mese di confino a Sanremo. In seguito a decreto del Ministero Istruzione fu oggetto di “trasferimento punitivo” a Tempio in Sardegna. Sarà poi docente a Cremona, Gubbio e, più lungamente, a Udine.

Intreccia negli anni a cavallo del nuovo secolo dialoghi epistolari intensi e frequenti con Arcangelo Ghisleri, Giuseppe Prezzolini, Benedetto Croce, Angelo F. Formiggini, di cui fu consulente per le scelte editoriali relative all’ebraismo. Fu inviato speciale dell’“Avanti!” a Basilea, per i primi congressi sionisti e all’inizio del Novecento si avvicinò ai movimenti modernisti. Nel 1905 pubblica la sua prima monografia su Mazzini e le idealità moderne. Rimane docente ginnasiale fino al 31 dicembre 1913, quando viene nominato professore straordinario di psicologia, logica e morale presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile di Roma, lo stesso dove dopo la guerra insegnerà Luigi Pirandello.

Interventista democratico nel dopoguerra è vicino a Salvemini, a Ghisleri e ai repubblicani mazziniani come Umberto Zanotti-Bianco. Tra il 1919 e il 1922 raccoglie in volume i suoi studi sull’opera di Mazzini, ma gli anni del dopoguerra sono quelli che segnano l’inizio della sua crisi esistenziale, della sua malattia che lo conduce al suicidio il 7 aprile 1924. L’instaurarsi della dittatura mussoliniana era alle porte. Il giorno prima, domenica 6 aprile, gli italiani si erano recati per l’ultima volta alle urne.

 

Il pensiero filosofico-religioso

Gli interessi filosofico-religiosi nascono nel periodo pisano con la scoperta dei libri di Renan e la vicinanza ai socialisti anti-materialisti. Vengono al pettine, negli anni Novanta del XIX secolo, i nodi della giovinezza: «La schiavitù della Legge ha pesato come un vero giogo sopra di me negli anni migliori, sequestrandomi dalla partecipazione ad ogni manifestazione di vita giovanile», scriverà a Prezzolini il 26 giugno 1913: «La Sinagoga non mi appagò mai sicché lo studio stesso della Bibbia e del Talmud mi svogliò dal ritualismo. Fortunatamente le tendenze etiche imperiose in me furono appagate dalla lettura degli scritti di Mazzini. S’intende che come reazione alla schiavitù dei primi anni passai alle teorie negative pur senza tralasciare dall’interessarmi a tutte le manifestazioni della vita e dello spirito ebraico». Tali princìpi sono sviluppati nel corso della sua intera esistenza: un’autonoma riflessione sulla figura di Gesù come ultimo dei profeti ebraici, l’idea spirituale di emancipazione dei reietti. All’inizio del nuovo secolo Momigliano si fa promotore di una sorta di “modernismo ebraico”, rispecchiando la sua personale vicenda nella tragedia dei “novatori” emarginati dalla Chiesa e dall’enciclica Pascendi nel 1907.

Ispirandosi ai modelli europei dell’ebraismo riformato tenta invano di far conoscere in Italia i lineamenti di un’identità spirituale e universalistica, ostile al ritualismo e al legalismo. Duro fu lo scontro con l’ebraismo istituzionale, documentato da frequenti polemiche giornalistiche, ma anche da attacchi personali contro di lui da parte della stampa cattolica sul finire dell’Ottocento.

Proponeva di correggere e modificare alcune forme della preghiera. Il punto più alto di questa riflessione teorica lo si legge nella prefazione al classico lavoro di Claudio G. Montefiore, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico contemporaneo, in un’edizione curata da lui per Formiggini nel 1912. In questa direzione avviene l’incontro con Giuseppe Prezzolini e “La Voce”: in un primo tempo era stata affidata a lui la cura di un numero monografico, poi non realizzato, della rivista fiorentina dedicato alla questione ebraica e all’antisemitismo, sul mdello dei celebri numeri dedicati alla questione meridionale, alla filosofia, al modernismo stesso.

Percorrendo una sua autonoma terza via fra fede e modernità Momigliano si trova schiacciato - al pari dei modernisti cristiani - fra il rifiuto dell’ebraismo ortodosso e l’opposto rifiuto dell’idealismo crociano-gentiliano. Il culmine di questa controversi lo si legge negli articoli dedicati al “modernismo ebraico” per “Coenobium”, la rivista dell’esule socialista Enrico Bignami di cui fu assiduo collaboratore.

Notevoli anche i precoci interessi letterari, soprattutto guarda con interesse al socialismo umanitario di Tolstoi, su cui pubblica molti articoli. Sempre per Formiggini si deve a lui l’introduzione in Italia, per la prima volta, della cultura jiddish. La sua edizione - nei Classici del Ridere- di Marienbad di Shalom Aleichem - è del 1918. Amico e ispiratore di Alfredo Panzini, nelle conversazioni con gli amici talora si vantava di aver suggerito a Luigi Pirandello il finale di alcune delle sue più celebri novelle. Nei primi anni Venti alla vigilia della morte si avvicina a Ernesto Buonaiuti e frequenta la cerchia dei suoi allievi romani. A lui si lega la formazione naturalmente di altri rinomati esponenti della sua famiglia: il critico letterario Attilio Momigliano, lo storico della Chiesa e insigne giurista Arturo Carlo Jemolo (Momigliano per parte materna, proveniente dallo stesso ceppo monregalese) e soprattutto segue nei suoi primi passi di studioso il nipote Arnaldo Momigliano, destinato poi ad una brillante carriera di studioso della cultura classica.

Il suo scritto più alto rimane in ogni caso il suo testamento spirituale: «La mia vita è stata dura per le lotte sostenute. Ero nato da una generazione che viveva la vita nel ghetto ed ho conquistato la libertà dello spirito a prezzo di travagli interni terribili. Mistico fui e sono ed appunto per questo avversai le parti più aride del Talmudismo. Ho dato tutto me stesso, negli anni in cui potevo assicurarmi presto e facilmente una brillante carriera universitaria, all’idea sociale che era poi l’idealità massima. Sono lieto anche adesso di aver sopportato pel socialismo nel ’94, nel ’98, nel '900 confino, arresti, sbalzi, traslochi, per le meno desiderate residenze di tutta Italia perché ho con questa prassi celebrata la parte migliore di me. I miei nipoti imparino a non chiedere mai altro compenso pel bene che la soddisfazione di obbedire alla voce del dovere. Il mio testamento politico e sociale è conservato nel volume Il messaggio di Mazzini. Muoio in quella fede».

Alberto Cavaglion

 

Bibliografia

Opere principali

  • Paolo Veneto e le correnti del pensiero religioso e filosofico nel suo tempo, F.lli Bocca, Torino 1907.
  • La pace e la questione sociale. Saggi di etica sociale, Vita Internazionale, Milano 1908.
  • Leone Tolstoi, Formiggini, Genova 1911.
  • Prefazione a Claudio G. Montefiore, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico contemporaneo, Formiggini, Genova 1913, pp. VII-XLIX.
  • A. Pick, Scritti pedagogici, a c. di F. Momigliano, Tip. Doretti, Udine 1911.
  • Mazzini e la guerra europea, Società Edit. Italiana, Milano 1916.
  • Prefazione a Sh. Alechem, Marienbad, Formiggini, Genova 1918, pp. VIII-XI.
  • Scintille del roveto di Staglieno, Battistelli, Milano 1919.
  • Vita dello Spirito ed Eroi dello Spirito, Battistelli, Milano 1920.
  • Carlo Cattaneo e gli Stati Uniti d’Europa, Treves, Milano 1920.
  • Introduzione a C. H. Cornill, I profeti di Israele, Laterza, Bari 1923.
  • Il messaggio di Mazzini, Bilychnis ed., Roma 1924.
  • F. Momigliano: lettere a B. Croce, in "Nuova Antologia", fasc. 2156, ottobre-dicembre 1985, pp. 209-226.

 

Scritti sull'autore e il suo pensiero religioso

  • A. Momigliano, Felice Momigliano, 1866-1924, Nel venticinquesimo anniversario della morte di Felice Momigliano (Mondovì, a cura del comitato per le onoranze a Felice Momigliano, 1949), pp. 19-21, poi in Id., Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1966, pp. 581-588 (anche in Id., Pagine Ebraiche, a cura di S. Berti, 2a edizione, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2016).
  • A. Cavaglion, Felice Momigliano (1866-1924). Una biografia, Il Mulino-Istituto italiano per gli studi storici, Bologna-Napoli 1988.
  • A. Cavaglion, Il modernismo ebraico, in Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, a c. di Alfonso Botti-Rocco Cerrato, atti del convegno di Urbino, 1-4 ottobre 1997, Fondazione R. Murri - Edizioni QuattroVenti, Urbino 2000, pp. 185-197.
  • "Coenobium" (1906-1919). Un'antologia, a c. di A. Cavaglion, Edizioni Alice, Comano (Lugano) 1993.