Vittorio Subilia

Torino 1911-Roma 1988

 

Vita e opere

Il padre era di famiglia valdese, mentre la madre, di origine cattolica, aveva aderito alla Chiesa valdese nei primi anni del Novecento. La sua prima formazione ha luogo nella natia Torino; frequenta il liceo "Massimo D’Azeglio", dove ha come maestro A. Monti. Di sé adolescente, Subilia ricorda un livello mediocre di interesse religioso; «ma, racconterà più tardi, durante un’ascensione ad alta quota sulle Alpi valdostane, mi sono portato dietro il Nuovo Testamento, mi sono messo a leggerlo e l’ho scoperto. Diventare credente e dedicare la mia vita all’Evangelo sono state per me puramente e semplicemente la stessa cosa». Nel 1930 si iscrive, quindi, alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma. I suoi professori, Ernesto Comba, Giovanni Rostagno e Davide Bosio, sono rappresentanti di una generazione legata alla teologia liberale e risvegliata di stampo ottocentesco. L’impronta teologica, più che dai professori, la riceverà quindi dalle letture personali e da un gruppo di giovani pastori e laici, raccolti attorno a Giovanni Miegge ed alla rivista «Gioventù Cristiana», che portano in Italia il pensiero, allora assolutamente innovativo, del teologo svizzero Karl Barth.

Terminati gli studi nel 1933 e svolto il servizio militare fra gli alpini col grado di tenente, compie il suo anno di prova a Milano. Nel 1936 si sposa con Berta Baldoni che sarà affettuosa compagna e valida collaboratrice per una vita. Quindi, consacrato nel 1937, viene inviato come pastore a Palermo (dal 1937 al 1939) e successivamente ad Aosta (dal 1940 al 1950). Il periodo aostano è per lui particolarmente intenso, nonostante il duro tempo della guerra, sia per quanto riguarda il dialogo con la cultura e la città, sia per quanto riguarda l'edificazione di una comunità confessante - sull'esempio dell'esperienza della Chiesa Confessante tedesca. Il riferimento al pensiero di Barth, con l'accentuazione della assoluta alterità di Dio e della centralità dell'evento di Cristo, rimane una costante per tutta la sua vita e costituisce fin da allora uno strumento per la critica dell’assolutismo politico. La sua predicazione forte e severa chiama i fedeli alla coerenza evangelica e alcuni membri della piccola comunità valdese aostana entreranno nella Resistenza attiva. Inoltre, i suoi studi biblici raccolgono non solo membri della chiesa, ma anche esponenti dell'antifascismo locale.

Questa predicazione moralmente intransigente si è espressa anche, nel 1942, in un sermone in cui si rimprovera la Chiesa valdese di essere, in quegli anni di dittatura fascista, una ecclesia silens. Nel tragico settembre del 1943, poi, egli è l'estensore al Sinodo valdese di una proposta di ordine del giorno nel quale la Chiesa confessi come un peccato il fatto di non aver elevato una voce profetica durante il ventennio. Dopo una accesa discussione, però, il testo viene ritirato per evitare una spaccatura nell'Assemblea. L'anno successivo, Subilia rifiuta di prestare giuramento, in quanto ex ufficiale, alla Repubblica Sociale e deve vivere diversi periodi di clandestinità.

Nel 1950 viene nominato docente nella Facoltà Valdese di Teologia di Roma, per la cattedra di teologia sistematica, che comprende anche storia dei dogmi e teologia del Nuovo Testamento. Cattedra che ha tenuto fino al 1976. Prima di iniziare l'insegnamento, egli ha potuto godere di un anno di studio a Basilea, dove incontra personalmente due delle figure più importanti del protestantesimo del novecento: l'esegeta Oscar Cullmann e il teologo Karl Barth. I ventisei anni di insegnamento sono stati il suo periodo più fecondo, in cui ha formato almeno due generazioni di pastori, mettendo in rilievo una enorme capacità di lavoro e la vastità dei suoi interessi culturali. Nel suo pensiero è forte il riferimento all’opera di Barth, senza però mai diventarne un mero ripetitore. È infatti convinzione di Subilia che l'insegnamento, come afferma all'atto dell'accettazione della sua designazione, «si debba radicare su una teologia che non viva di se stessa e per se stessa, ma che, sul fondamento della Parola, vincolata alla Parola nelle sue impostazioni e i suoi sviluppi, richiami e conduca la chiesa all’ubbidienza e al servizio dell’unico Signore, Gesù Cristo». Il cristianesimo, afferma, non è un'idea o una dottrina, ma è il riferimento ad una persona, Gesù Cristo - ed assume dunque tutta la problematicità tipica dell'essere nella storia.

Nel 1976, entra in una emeritazione attiva, in cui mantiene la direzione della rivista della Facoltà di teologia, «Protestantesimo», assunta nel 1948, e pubblica un numero ragguardevole di libri in cui raccoglie il frutto di anni di intenso lavorìo intellettuale, affrontando alcuni dei nodi principali del pensiero teologico protestante. Dal notevole materiale prodotto in quegli anni usciranno anche due volumi postumi: La parola che brucia. Meditazioni bibliche (1991) e Il Regno di Dio. Le sue interpretazioni storiche, (1993), e uno studio sul Pietismo.

Nell’estate del 1987 lo colpisce il male che nel giro di alcuni mesi avrà il sopravvento e il 12 aprile 1988 Vittorio Subilia si spenge a Roma. Aveva scritto, poco prima di andarsene: «Fede significa ferma fiducia che Dio fa e farà tutte le cose bene e non abbandona e non abbandonerà i suoi né nella vita né nella morte. Se credere in Dio significa consacrare tutta la propria vita al suo servizio in risposta alla vocazione dell'Evangelo, per testimoniare di Lui nei più vari settori della società, perché non si dovrebbe fare getto anche della propria morte nelle sue mani, senza preoccuparsene e lasciando a Lui le modalità della sua sistemazione?».

 

Il pensiero su religione, teologia e filosofia

Nel suo lungo insegnamento, possiamo cogliere tre fasi:

Fine anni '40 - anni '50. Già nel 1948 viene inviato come rappresentante della Chiesa valdese alla prima Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ad Amsterdam. Lo stesso anno pubblica la sua prima opera, Il movimento ecumenico, in cui esprime un certo ottimismo, anche se mette in guardia contro il “farisaismo delle Chiese” ed insiste sul fatto che l’obbedienza all’Evangelo e non le chiese, in quanto strutture, deve essere il motore primo del movimento. Questo ottimismo viene via via scemando, fino a diventare aperta critica, di fronte alla constatazione che le chiese e le loro tradizioni stanno prendendo il posto centrale della scena. Subilia esprime così il timore che la nitidezza delle prospettive teologiche risulti sacrificata al compromesso diplomatico e alla visione ecclesiocentrica delle gerarchie ecclesiastiche.

Nello stesso periodo pubblica anche due altre opere. Nella prima, Gesù nella tradizione più antica (1954), raccoglie il prodotto dei suoi primi anni di insegnamento di teologia del Nuovo Testamento ed applica i più moderni metodi di critica biblica al tempo disponibili per offrire un disegno a tutto tondo della figura del Cristo, a partire dai Vangeli sinottici. Nella seconda, Il problema del male (1959), dialoga, tra l'altro, con l'esistenzialismo a cui rimprovera una visione sostanzialmente pessimista, tra il nulla e l'angoscia, senza possibilità di riscatto. A questa posizione contrappone (sia pure con qualche distinguo) quella di Barth, radicata nella realtà di Cristo: «L'intero Evangelo, scrive, è lì per dirci che tutta l'opera di Dio è opera di opposizione al male, rappresenta quel superamento della contraddizione che né la creatura né la teologia possono operare». Il confronto col pensiero filosofico e con l'esistenzialismo in particolare prosegue nel tempo attraverso la frequentazione con intellettuali quali Luigi Pareyson, Alessandro e Ettore Passerin d'Entrèves, Piero Luzzati, Renato Treves, Willem A. Visser ‘t Hooft e attraverso l'analisi dell'opera dell'esegeta di Marburgo Rudolf Bultmann, il quale, partendo dalla necessità di svestire il messaggio biblico del suo aspetto mitologico, si appoggia alla filosofia di Heidegger, ponendo al centro della riflessione l'aspetto kerygmatico degli evangeli e il momento della decisione individuale di fede - riprendendo con ciò, secondo Subilia, l'antico costume della teologia protestante, risalente a Schleiermacher, di ancorare il pensiero teologico alla filosofia, confondendo così teo-logia e antropo-logia. E' un rilievo che ritroveremo ancora in seguito.

Gli anni '60. Sono gli anni del Concilio Vaticano II a cui, dal 1963 al 1965, ha partecipato come “osservatore-delegato” inviato dall'Alleanza Riformata Mondiale. Da questa esperienza nascono le sue due opere forse più note: Il problema del cattolicesimo (1962) e La nuova cattolicità del cattolicesimo (1967), in cui esamina a fondo il fenomeno cattolico per comprenderlo alla sua radice, che egli identifica con la capacità di coniugare gli opposti (la «complexio oppositorum»), e nello stesso tempo per esprimere con chiarezza (una chiarezza che egli non vede in altri osservatori protestanti) il giudizio che emerge dal pensiero della Riforma.

Gli anni '70. Sono gli anni della contrapposizione rispetto alle varie teologie della liberazione che si vanno affermando sia nel protestantesimo italiano che nei più vasti ambienti dell’ecumenismo mondiale. Pur contestando teologicamente, per altro verso, ogni tendenza fondamentalista o evangelicale, Subilia respinge le teologie politiche, che considera esposte al grave rischio di non essere più teo-logia, avendo abbandonato il riferimento unico all'Evangelo, per trasformarsi così in antropo-logia o socio-logia. Questa presa di posizione gli ha attirato molte critiche, procurandogli un senso di isolamento; anche se, a distanza di tempo, si può forse parlare di reciproca incomprensione e di mancanza di un dialogo approfondito fra le parti. Subilia si è sempre dimostrato tutt'altro che disattento rispetto alle storture della società contemporanea, sapendo guardare ai mutamenti in atto nella società con lucida analisi e condannando, con eguale vigore, sia le distorsioni e le ingiustizie della società occidentale, che le derive burocratiche e totalitarie del sistema socialista. Egli insiste sul fatto che noi viviamo nell'interim fra l'ascensione e la parousia e in questa situazione la coscienza cristiana è costantemente esposta alla tentazione di scegliere fra «l'onestà dell'aut-aut e l'ambiguità dell'et-et». Ogni ipotesi di sintesi conduce ad accomodamenti che finiscono per spogliare l’Evangelo della sua punta polemica e della sua capacità rinnovatrice, rischiando di ridurlo a conferma sacralizzante di posizioni precostituite. Ogni semplificazione finisce per avere effetti deformanti, afferma ancora, per cui la caratteristica dell'economia della fede deve essere la capacità di istituire una tensione costante tra la dimensione del Regno di Dio e quella della storia. Ma tale impegno deve essere caratterizzato dalla volontà di introdurre nel mondo il fermento dell’Evangelo, una parola che non è assimilabile con altre parole e che acquista autorità, così da provocare una netta rottura con gli schemi del mondo vecchio e una scelta decisa nella via del discepolato e del servizio.

Paolo Ribet

 

Bibliografia

Per la bibliografia completa degli scritti di Vittorio Subilia, si veda M. Berutti, Bibliografia, in A.A.V.V., Il pluralismo nelle origini cristiane. Scritti in onore di Vittorio Subilia, Torino 1994, pp. 117-207.

Scritti principali

  • Il movimento ecumenico, Roma 1948

  • Il problema del male, Torino 1954, 21987

  • Il problema del cattolicesimo, Torino 1962

  • La nuova cattolicità del cattolicesimo, Torino 1967

  • Tempo di confessione e di rivoluzione, Torino 1969

  • L’Evangelo della contestazione, Brescia 1971

  • I tempi di Dio, Torino 1971

  • Sola scriptura. Autorità della Bibbia e libero esame, Torino 1975

  • Presenza e assenza di Dio nella coscienza moderna, Torino 1975

  • La giustificazione per fede, Brescia 1976

  • Il protestantesimo moderno tra Schleiermacher e Barth, Torino 1981

  • Solus Christus. Il messaggio cristiano nella prospettiva protestante, Torino 1985

  • La parola che brucia. Meditazioni bibliche, a cura di P. De Petris, Torino 1991 (postumo)

  • Il Regno di Dio. Interpretazioni nel corso dei secoli, a cura di G. Conte, Torino 1993 (postumo)

  • F. Spano, La teologia è la mentalità dell’uomo nuovo, in «Gioventù Evangelica», 1982, n. 73. pp. 21-24 (intervista a V. Subilia)

  • V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo, Torino 1987, pp. 273-280 (intervista a V. Subilia).

Scritti sull'autore

  • A.A.V.V., Il pluralismo nelle origini cristiane. Scritti in onore di Vittorio Subilia, Torino 1994

  • S. Rostagno, Kerygma, paradosis, ekklesia. Convegno in ricordo di Vittorio Subilia, in «Protestantesimo» XLIV (1989) pp. 114-116

  • S. Rostagno, Appendice II. La teologia sistematica evangelica in Italia, in H. Berkhof, 200 anni di teologia e filosofia. Da Kant a Rahner, Torino 1992, pp. 417-447

  • S. Rostagno, La Facoltà Valdese di Teologia dal 1922 al 1976. Rapporti con la cultura, in M. Belardinelli e P. Stella (curatori), La comunità cristiana di Roma. Vol. 3, La sua vita e la sua cultura tra età moderna e età contemporanea. Roma 2002, pp. 415-428

  • S. Rostagno, Profili. Vittorio Subilia, in «Filosofia e Teologia» XX (2006), p. 137-146.